Il musical come archetipo del non-parodiabile

Ho sempre avuto la fissa dei musical americani. Soprattutto di quelli con dentro il jazz. E un mio sogno segreto sarebbe quello di scrivere un musical cinematografico che ripeschi i suoi brani all’interno della tradizione delle canzoni italiane, dagli anni Venti ad oggi. Ieri pomeriggio, stirando, riguardavo in tv “Everyone says I love you” e mi tornavano in mente riflessioni sul musical di qualche tempo fa.

Ad esempio, il concetto di musical come struttura sostanzialmente non-parodiabile:

“Imitarne la forma, infatti, significa ipso facto attualizzarla: la parodia di un musical diventa un musical, è un musical” dicevo.

Tra l’altro questa è una caratteristica condivisa anche dal trash (una parodia di un programma trash, presa per buona la definizione di “trash” come “imitazione malriuscita”, diventa il programma stesso. Esempio: la parodia del programma “Uomini e Donne” fatta a Zelig – e in passato l’aveva fatta anche Gene Gnocchi con esiti differenti e più tendenti al surreale, ecco forse il surreale riesce a parodiare il trash – ebbene la parodia di Zelig è una riproposizione di alcuni moduli ricorrenti del programma ma già in sé comici. Parodia e originale coincidono.)

Dicevo del musical come struttura non-parodiabile ma, semmai, citabile: la citazione ammiccante ad un genere, come nel film di Allen o come nelle citazioni simpsoniane, dà esito ad un musical piacevole più o quanto un musical allo stato, diciamo, ingenuo o “puro” (come lo sono “Un americano a Parigi”, ma anche lo stesso “The Blues Brothers”…)

Ecco, io sogno una via italiana al musical cinematografico (perché teatralmente il discorso è diverso e la nostra storia, Garinei e Giovannini docet, gloriosa e antica mentre i “musicarelli” degli anni Sessanta non sono assimilabili al genere) puro o citazionista che sia: con tutti i miei musicisti preferiti, i ritmi nostri, le canzoni e le melodie di 80 anni di musica italiana. Prima o poi lo scrivo. Intanto inizio coi consigli natalizi: procuratevi la colonna sonora di Everyone Says I love you

Postilla
Anche Nanni Moretti talvolta ha citato il musical come sottogenere in un certo senso affascinante, evocandolo proprio come alternativa drastica al suo fare cinema: ricordate quando in “Caro Diario” utilizza come scusa per visitare l’interno di case che gli piacciono la ricerca di una location per un fantomatico musical su un pasticcere trotskista nell’Italia degli anni ’5o? Musical che poi ricompare come “film nel film” in “Aprile“, dove il pasticcere prenderà le sembianze di Silvio Orlando e la realizzazione del musical, nel finale, segna una sorta di riappacificazione di Nanni con il gusto stesso di fare cinema, quindi di inventare liberamente in una dimensione totalmente irrealistica.

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