Pontedera wandering

Eppure deve esserci una differenza specifica tra “vagare” e “girovagare”. E se non c’è occorre inventarla, istituirla, ognuno per sé. Oggi avevo tre ore di tempo per girovagare a Pontedera, tre ore di tempo libero o, meglio, occupato dalla necessità di far niente: aspettando. Un pomeriggio da riempire vagando. A me non piace vagare. Né girovagare.

Primo tentativo di occupare utilmente il tempo: visita al Museo Piaggio. La mia preferita è sicuramente la Vespa 98 del 1946, un’opera di design perfetta. Il museo era totalmente deserto, quasi incustodito. Così mi sono ritrovato a girovagare all’interno della grande sala del museo. Vagavo al quadrato. Più tardi, sul corso principale di Pontedera, mi sembrava che le persone, incontrandomi, mi guardassero strano, quasi come se pensassero: “Guarda quello lì! Sta girovagando!!”

Il termine “vagare” mi ha sempre fatto pensare al “wandering“. Da un lato mi torna alla mente un frammento scolastico ( I wandered lonely as a cloud… ); dall’altro uno dei comportamenti tipici causati dal morbo di Alzheimer, la tendenza a perdersi per un girovagare senza meta, e senso. Quindi per me è un concetto ibrido, che contiene poesia e paura insieme. Così, quando mi capita di girovagare, sento la compresenza strana di queste due dimensioni: vagare come perdita di sé e come estremizzazione dell’essere liberi. Le quali cose potrebbero pure, pericolosamente, coincidere.

5 thoughts on “Pontedera wandering

  1. Lei è un (giro)vagone (absit iniuria verbis!). Grazie per i ringraziamenti, non li merito …

  2. credo che le differenze concettuali tra ‘vagare’ e ‘girovagare’ si annullino completamente, in assoluto generico benessere, a latitudini molto diverse da Pontedera.
    la casbah di Tunisi o anche solo il lungomare di Rimini in inverno sono davvero altra cosa.
    e non mi si venga a dire che Pontedera è una ridente località, ché c’è poco da ridere…

  3. Potrebbe essere allora che sto “covando” un Alzheimer, perchè mi piace vagare e girovagare. Credo che non sia indispensabile sempre avere un fine, uno scopo, un senso.

  4. Prima di tutto c’è una certa invidia (e una certa rabbia, anche) per la sua vena creativa. Sarà la paternità, ma qui non si riesce a starle dietro, tra link, rimandi colti, vena poetica e ipertrofia bloggica; in più lei trova anche il tempo di stirare e girovagare. Ma come fa?
    Infine: la sua flânerie denuncia pesantemente l’instabilità psichica (novello Walser) di cui è affetto. Ma come mi concilia i Passages con Pontedera? :-)

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