L’impossibile indifferenza

copertina de L'impossibile indifferenzaInizio a scrivere di getto, dopo la lettura delle prime pagine, e proseguirò così, per frammenti e illuminazioni via via che procedo, nel tentativo di raccontare gli effetti che su di me produce e produrrà la lettura della “quasi autobiografia” del prof. Francesco De Sio Lazzari, “L’impossibile indifferenza“, appena uscita presso Dante&Descartes. Non posso scriverne una recensione ma solo una “cronaca emotiva di lettura”, per il legame d’affetto, stima e amicizia che mi lega a Francesco. L’elemento del libro che per primo emerge è la mancanza di qualsiasi forma di messa in scena, o “in pagina”, di  se stesso da parte dell’autore; al contrario si manifesta plasticamente, nelle sue parole, e potentemente tutta la “testualità” della vita in sé, il suo essere letteralmente “tessuto”, textus, (di libri, relazioni umane, incontri, telefonate, abbracci, sorrisi, allontanamenti e riscoperte, amori, dolori, ferite, ricordi personali e altrui, casualità, fortune, sfortune, frammenti, viaggi, sensazioni, sogni, associazioni, condensazioni…).

Inoltre si ritrova, in molte pagine, una grande consapevolezza, una meta-memoria narrativa legata a una sottile malinconia. Francesco rende continuamente vivo il proprio racconto movimentandolo con porzioni di comunicazione corrente (email, telefonate) che servono a riallacciare fili della memoria, recuperare testimonianze. La sua autobiografia assume i tratti di un iper-testo, perché rende manifesta la natura profondamente relazionale di ogni identità, il debito e il legame che ogni biografia matura con le biografie altrui. L’esperienza personale è capacità di apertura all’esperienza dell’alterità, capacità di accogliere il tratto dell’altro in maniera permeabile. Francesco è consapevole della propria permeabilità, come opposto e benefico elemento polare rispetto all’inseguita (e mai raggiunta) “indifferenza” (di natura stoico-taoista-buddhista). Cito a esempio testuale di questa apertura all’esperienza dell’altro come fecondante del proprio sentire sia l’ampia carrellata di figure di studiosi del capitolo 4, “Università con figure”, sia la trascrizione di due testimonianze di ex studenti di Francesco (il resoconto del viaggio in India di Marco Ponticiello, p. 84; la descrizione delle scelte di vita di Elena Di Cristo, p. 138).

Leggendo il libro mi ritrovavo sempre più affascinato dai “movimenti del pensiero” (per citare il titolo di un libro che mi è molto caro) che hanno attraversato la vita di Francesco. Il suo libro è un itinerario intellettuale e spirituale vivissimo, in presa diretta. Ecco, pensavo proprio a una similitudine di tipo sonoro-cinematografico: biografie che “doppiano” la vita, riproiettando l’accaduto passato e sovrapponendogli una voce impostata, come in sala doppiaggio; e biografie che si snodano col sonoro “in presa diretta”, come si dice. Il libro di Francesco registra, in presa diretta, lo svolgersi di una “memorazione” viva, che vive del suono limpido della sua voce farsi scrittura. Scrivere sé è mostrare questo fascio di strati di memorie di cui si compone l’Io (un po’ come la cipolla nella famosa poesia della Szymborska, che non ha interiora se non la sua “cipollità”).

Mentre leggevo questa “quasi-autobiografia”, che contiene al suo interno diversi generi letterari oltre a quello del diario-memoria di un’anima (vedi il pamphlet ironico e amaro del capitolo 7 dedicato alla riforma universitaria, o la favola allegorica “Digressioni su libri e magie” di p. 119, o il capitolo 8 sulla “docentologia”), mi venivano alla mente -  quasi per associazione libera – due testi molto distanti tra loro: 1) una canzone di Paolo Conte, “La Casa Cinese” (Elegia, 2004); 2) i Saggi di Teodicea di Leibniz, uno dei libri che più mi affascinarono nel corso dei miei studi universitari. La canzone di Conte mi risuonava in testa, leggendo Francesco, sia per motivi di armonia e atmosfera (nostalgico-melanconica) della melodia, sia per il testo che utilizza le espressioni “anima nuda” e “memoria incantata” (forse perché percepivo, empaticamente, molti passaggi del racconto di Francesco come la “memoria incantata di un’anima nuda”?). Di Leibniz, invece, riaffiorava spontaneamente alla mia memoria l’espressione “il presente è gravido dell’avvenire” (vedi il paragrafo 360 dei “Saggi di Teodicea”). Ecco, proprio questa idea di generazione, di fertili e molteplici possibilità date dal presente vissuto, gravido di un futuro insondabile ma già contenuto in potenza nel presente (ma non deterministicamente), era la sensazione che provavo ripercorrendo insieme a Francesco la sua storia familiare, la sua carriera universitaria, le sue amicizie, i suoi viaggi, le sue passioni intellettuali. Alla fine se dovessi dire cosa sia questo magnifico dono che Francesco ha fatto a tutti noi col suo racconto direi che è un libro di “filosofia morale”, lo metterei insieme ai libri di morale. Io credo che segretamente, sottotraccia, ma anche esplicitamente, questo libro che, nelle stesse parole del suo autore, ha preso “la forma del ringraziamento” (alla vita, agli amici…) sia una forma d’insegnamento, testimonianza di come Francesco interpreti in un’unità coerente e compatta l’essere docente, l’essere uomo, l’essere vivo, l’essere in continuo dialogo con l’alterità, con un’essenzialità identitaria che è relazionale e dialogica. E per questo suo insegnamento, e per la sua amicizia, lo ringrazio.

Se si potesse leggere nelle menti e nei cuori, si scoprirebbe l’impossibilità dell’indifferenza. L’amore della vita tormentato da un nulla sottile e segreto. (F. De Sio Lazzari, L’impossibile indifferenza, p. 149)

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>