Da anni mi aggiravo come un cieco
chiedendo a questo e a quello:
ditemi voi, che ne è della politica?
Dove è finita? Dove si è cacciata?
Io la cercavo e lei era giusto qui,
accanto a me, acquattata
nei ghirigori di un’oscura
circolare, nella protervia
di un ducetto provinciale,
nella voragine di soldi e fango e merda
da riversare su una povera laguna
colpevole soltanto della sua bellezza.
Ma il cisto, l’airone cinerino,
il riccio, la volpe, la gazzetta,
troveranno chi farà quadrato
insieme a loro. E non sarà
un coro di voci estenuate,
di esteti votati a un’inane,
snobistica marcetta.
Sarà buona politica -
impegnata contro ignavia e malaffare,
arroganza e connivenza:
quell’amalgama infernale
a cui si oppone ancora
chi non intende cedere
a un incombente
sentimento di impotenza.
(Franco Marcoaldi, Politica, da La trappola, Einaudi, 2012, p. 24)
Ieri sera, a San Giuliano Terme, ho letto questa poesia di Marcoaldi per fare gli auguri a Ilaria Bonaccorsi, in conclusione d’una serata elettorale alla quale ero stato invitato a partecipare dagli amici “civatiani” di Pisa. La sala era piena di persone, e questo è già un buon segno della voglia di partecipazione che si sta riattivando, di un ” fare politica” che è, appunto, il non cedere ad un sentimento di impotenza. Anche quando si parla di “Europa”; concetto ancora troppo astratto e sospeso tra le semplificazioni antieuropeiste e il senso di una “cittadinanza” europea tutta da costruire.