Muoversi


L’altro giorno ero a Fosdinovo a festeggiare il 25 aprile. Giulia ci teneva e allora siamo andati. Ho messo su le scarpe bucate, sia in omaggio alla canzone partigiana, sia perché la bolgia di compagni danzanti e dediti all’approvvigionamento di bottiglie di vino consigliava calzature “da battaglia”. No, sarei stato totalmente inadatto alla Resistenza. Che cravatta si mette per un’imboscata? Mi commuovo facilmente per poche cose. Cioè, mi commuovo difficilmente su molte cose, e molto facilmente su alcune poche, che ora non vi enumero. Qualcosa di simile, ad esempio, alla commozione che Paolo Nori racconta qui, guardando fuori da un finestrino. La partigiana che racconta i suoi aneddoti partigiani commuove (Vanda Bianchi, al centro della foto in alto).

Poi ho guardato giù, verso la piana di Sarzana, che è una parola piana, e si vedeva bene il Magra mescolarsi al mare. E ho sentito, per la prima volta, che quella generazione là, quella di Vanda, quella dei miei nonni, aveva tutto un altro amore per la terra dove stava, là dove erano nati. E che la guerra partigiana non era stata solo una faccenda di ideali, di giustizia e libertà (tutte quelle cose che stanno dentro i discorsi ufficiali del 25 aprile, con le citazioni bellissime di Pertini o Calamandrei e compagnia santificata…) ma era stata una resistenza di “paesaggio” (come il “paesaggire” di Zanzotto).  Per la prima volta, guardando giù verso il fiume, ho sentito il paesaggio parlare attraverso la testimonianza di Vanda*, e quella piana – dove sono nato e dove periodicamente torno -  mi ha commosso con la sua dolcezza dolente.

*aggiornamento 31 luglio 2014: all’alba ci ha lasciato Vanda Bianchi, partigiana “Sonia” della Brigata Garibaldi “Ugo Muccini”.

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