Passaggi a livello e livelli di passaggio

Che i passaggi a livello siano porte spazio-temporali disseminate lungo le campagne e le città lo avevano già descritto compiutamente Benigni e Troisi in “Non ci resta che piangere”. Valerio Magrelli, nel suo recente “La vicevita. Treni e viaggi in treno” (Laterza, 2009) dedica un capitoletto brillante alla metafisica dei passaggi a livello. Io incontro ogni giorno, nel mio quartiere, nel giro di poche centinaia di metri, un paio di passaggi a livello della linea Pisa-Lucca, residui di un’arretratezza infrastrutturale ferroviaria insanabile che, a dispetto di qualsiasi alta velocità, detta ancora dappertutto i tempi della lentissima mobilità urbana imponendo quelle soste “metafisiche”, appunto, che sono le attese ai passaggi a livello dentro le città, nei borghi, nelle frazioni, in aperta campagna. Trascrivo un brano di Magrelli per fare, in parte, mie le sue osservazioni pur non condividendone l’assunto iniziale:

Non è semplice enunciare le ragioni per cui i passaggi a livello mettano tanta tristezza. La prima cosa da capire riguarda l’angolatura sotto la quale intendiamo parlarne. Altrimenti detto: mettono tristezza se visti dal treno in corsa, oppure se contemplati dal basso, vuoi da una macchina immobile, vuoi dalla prospettiva del semplice pedone che aspetta di attraversare? (…) Eppure c’è qualcosa di ulteriore; ma cosa? Forse il contrasto tra la stasi e il viaggio, portato al suo punto estremo, antagonistico: l’invidia di chi resta verso colui che parte, e il rimpianto provato da quest’ultimo verso quelli rimasti. Ognuno vorrebbe trovarsi nei panni dell’altro, ma poi, alla fine, preferisce i propri. La divaricazione, qui, diventa insopportabile: tu costretto ad attendere perché il coglione passi, lui obbligato ad avvertire un immotivato senso di colpa per quei poveretti inchiodati in mezzo alla strada (V. Magrelli, La vicevita, pp. 96-97)

Ora, io credo che i passaggi a livello non siano ontologicamente tristi (e analoga convinzione, forse, stava anche alla base della ricerca fotografica di Eus, sulla cui poetica scrissi alcune osservazioni, vedi il Catalogo delle fermate non richieste, che anticipavano le domande che pone Magrelli), mentre condivido l’asimmetria tra stasi forzata e viaggio. Tornando dall’ufficio, questo pomeriggio, costretto all’ennesima sosta forzata al passaggio a livello di via di Gagno ho registrato il breve video che avete visto qui sopra. Chi abita un quartiere attraversato da passaggi a livello è addestrato da una ricca fenomenologia di situazioni con questo buco spazio-temporale. Alla fine sai a che ora passano i treni, sai come sincronizzare i tuoi spostamenti in auto, sai se i convogli sono in orario o in ritardo, se il locomotore è elettrico o diesel, o se passa un interminabile merci. Sai quanto gas devi dare alla tua auto rispetto alla distanza che la divide dal semaforo già rosso e dalle sbarre ancora, per qualche istante, alzate.  Ma è solo di recente che ho attuato una vera rivoluzione copernicana  – un livello di passaggio – nei confronti delle soste forzate agli attraversamenti dei binari interdetti: adesso spero di trovare le sbarre abbassate. Al mattino, alle 8  e qualche minuto, per salutare il treno con Sara, da dentro la macchina, mentre la porto all’asilo. Al ritorno dall’ufficio, se non ho motivi di fretta specifica per rincasare, proprio per godere della sosta forzata dentro a un “nulla”avvolgente, lo stop che assolve, autorizza, frena l’orologio del giorno.

Il percorso casa-asilo-parcheggio scambiatore-casa prevede, ogni giorno, 2 attraversamenti di 2 passaggio a livello: totale 4 possibili “buchi” temporali, soste forzate, minuti sospesi e irrecuperabili che, segretamente me lo auguro, mi manterranno più giovane. Come l’astronauta gemello lanciato in orbita nel famoso esempio della relatività.

3 thoughts on “Passaggi a livello e livelli di passaggio

  1. Già. E forse il passaggio a livello obbliga il treno di passare dentro ognuno di noi. Che all’incontrario va.

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