Slittamenti etico-estetici nell’uso di un’espressione corrente

Siamo infetti. La lingua è malata, e il vincolo etico/estetico si fa cogente nella pubblicistica che si è esercitata negli scorsi giorni su quella specie di onomatopea reiterativa, che inizia per “B”, e che il nostro Primo Ministro avrebbe utilizzato, mutuandola da barzellette o compagni di merende di Stato, per indicare i suoi svaghi serali di gruppo di natura sessuale. No, io non lo scrivo. Io sono indifeso, come tutti, nei confronti dell’indecenza. Ma voglio salvare almeno la mia lingua (è il modo che mi sono scelto di essere Patriota, Democratico e Repubblicano), e non voglio scherzarci sopra, né sorridere, né ammiccare rispetto alla buffa espressione duplicata che inizia per “B”. Resisto. Nel frattempo, l’Italia sorride. In questo riso generale, tragico, sfumeranno i titoli di coda del ventennio berlusconiano senza che questo sia stato sconfitto politicamente. Quindi culturalmente. Quindi esteticamente. Quindi eticamente.

Mi concentro, allora, su alcuni usi significativi del termine duplicativo (e che mi ricorda, foneticamente, la gloriosa genia degli Oompa-Loompa i quali, a loro volta, mi suggeriscono che vi è stata una “pigmeizzazione morale” del Paese, noi simili-complici del Oompa-Silvio-Loompa prototipico e noi cloni, e “altanianamente” proni…). Vincenzo Cerami, Massimo Gramellini e Silvia Ballestra hanno scritto, a caldo, sulla nota vicenda. Vorrei sottolineare gli approcci e gli usi del termine. Cerami (su L’Unità) ha giocato prevalentemente sull’iterazione (Tuca Tuca, Bora Bora…) per descrivere questa  nuova “liturgia amorosa”, ha cercato, cioè, di salvarsi immergendosi totalmente nell’onomatopea. Silvia Ballestra (sempre su L’Unità) compie, invece, l’interessante passaggio da sostantivo ad aggettivo: l’espressione viene utilizzata per ironizzare sulla concezione della carità espressa dal Premier:  – quando c’è da far bene non mi tiro indietro”, che ha evidentemente una concezione del bene un po’, come dire, B***B*** – dice la scrittrice nel suo efficace articolo. Il passaggio di stato grammaticale più interessante e fecondo, però, è per me quello che per primo ha fatto Massimo Gramellini (su La Stampa e nel corso della trasmissione “Che tempo che fa“): da sostantivo a interiezione esclamativa (con un calco implicito su “urca”, penso io, per analogia vocalica “U-A”) parlando delle sregolatezze esistenziali del genio calcistico di Maradona come fenomeno irripetibile: “Quando infine si ritirò, tutti fummo concordi nel dire che un fenomeno mediatico come lui non ci sarebbe più stato. E invece ci sbagliavamo. B**** b**** se ci sbagliavamo.” Quest’ultimo uso ottiene la sua massima consacrazione nelle parole di Gerry Scotti, sulla stessa televisione di proprietà del Premier. Nella trasmissione Chi vuol essere milionario? (Canale 5), alla frase detta da un concorrente, “Queste cene nel Peloponneso poi finivano con atteggiamenti collettivi promiscui”, Gerry Scotti risponde: “B*** B****!!” (citato da Antonio Dipollina nella sua rubrica Dekoder). Il cerchio linguistico, dal dopocena speziato di Arcore al pre-cena del quiz televisivo, si chiude definitavamente. E la Nazione è in pace con se stessa.

Perché, in fondo, Silvio è una sineddoche, così come il termine esotico che ha portato in auge – per alcune settimane – nel degradato nostro lessico quotidiano. Quell’espressione diventa la parte (un fine serata “alternativo”) per il tutto (un fine “impero” grottesco). Che la parola passe-partout, quella in particolare, che è entrata in circolo  nel linguaggio comune e nel meta-circolo dei media (quella che sostituisce molti usi differenti, quella che allude, ammicca, che ingloba escludendo ed esclude inglobando, che si fa largo, sgomitando, nelle conversazioni, negli usi comuni, nelle battute…) sia un’infezione del linguaggio è un sintomo chiaro del disagio più generale che viviamo. I dizionari, in questo senso, possono essere anche grandi cimiteri e non solo corpi vivi: registrano ferite mortali, vittime del senso perso, usi passeggeri che testimoniano, a volte, lo “spirito del tempo”.

One thought on “Slittamenti etico-estetici nell’uso di un’espressione corrente

  1. E’ tutta colpa della forchetta: crea distanza tra ciò che siamo e ciò che diventeremo, dopo aver mangiato. E per “mangiare” intendo cibarsi, in senso lato, anche di ciò che alimentare non è, ma serve ugualmente per definire e definirsi, per crearsi un’identità e una dignità di persona.

    Poi dicono, alcuni, che l’arte e la cultura non servono per mangiare. Sbagliano. Basta vedere come lo dicono, come parlano, per averne immediata e chiara dimostrazione.

    M.

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