Multiversi

Forse dovrei tentare un riassunto della tre giorni di Multiversi, la rassegna di “scritture ad alta voce” che c’è stata a Pisa dal 18 al 20 settembre, al Teatro Lux, dove c’erano tanti poeti bravi, tipo Andrea Inglese, Patrizia Valduga, Gabriele Frasca, Alessandro Fo, Luigi Socci (che purtroppo non ho ascoltato perché dovevo mettere Sara a dormire), e c’ero pure io con loro. Che una volta sarei stato capace di scrivere un post bellissimo, di riassunto proprio, di bilancio, che se uno lo avesse letto gli sarebbe sembrato di esserci stato a Multiversi. Solo che ora, con i socialnet, dopo che hai messo cinquanta foto, cinquanta video, i tweet, di una cosa che sta accadendo mentre sta accadendo, o magari dopo, la sera, a casa, hai ritagliato i 15 secondi che servono a instagram, e poi hai messo i tag di tutti quelli che c’erano, ecco, ora è più difficile scrivere quel post bellissimo dove uno che lo legge gli sembra di esserci stato a Multiversi.

Allora scrivo anzi delle cose un po’ slegate tra loro, tipo ricordi involontari, quelle cose che ti rimangono in mente come se si impigliassero in una specie di retino da pesca, e che non hanno pretesa di resoconto attendibile ma, anzi, lacunosissimo rispetto al vissuto e al percepito Ad esempio, la Valduga a un certo punto, eravamo in macchina di ritorno da Firenze e costeggiavamo le mura di Pisa, mi ha detto che non dovevo assolutamente usare la parola “camminamento” per indicare i camminamenti sopra le mura, perché quello era un termine esclusivamente militare, da trincea. In compenso, a fine giornata, mi ha scritto una dedica dove dice che sono un ottimo guidatore. Quindi forse dovrei smettere di scrivere per dedicarmi di più al trasporto passeggeri. Il giorno prima ho ascoltato la performance di Andrea Inglese. Che mi ha chiesto se potevo fare delle foto durante la performance con la sua macchina fotografica. E ho visto che, all’inizio, dato che non ci conoscevamo, era un po’ in ansia di affidami la sua macchina fotografica. Allora io la maneggiavo con un po’ di ansia, avevo paura mi cadesse di mano, soprattutto quando mi ha dato una lettera da leggere, però, credo, una foto ogni 7 sono riuscito a metterla a fuoco, e infatti quelle a fuoco poi le ha messe su facebook. Soprattutto mi piaceva il rumore della penna di Andrea amplificato dal microfono, e poi anche la babele di voci registrate che leggevano le lettere alla Reinserzione culturale del disoccupato, e anche i suoni realizzati da Stefano Delle Monache  che le accompagnavano. Poi ricordo, dopo la lettura della Valduga di sabato sera, che c’era Gabriele Frasca con una bella cravatta, ed era l’unico che portava la cravatta e ho pensato, siccome mi piacciono molto le cravatte, che ormai siamo nel periodo giusto per ricominciare a portare la cravatta. Poi ricordo che ha letto delle sue poesie molto belle, e ha anche detto che la letteratura sta morendo mentre l’arte no.

Domenica dovevo leggere le poesie che stanno per essere pubblicate nell’audiolibro “Dal corpo abitato“. E io, di solito, scelgo sempre quelle meno leggibili. Quelle divertenti le scarto. Così poi mi è rimasta l’idea di aver letto una cosa cupissima, che invece il libro parla anche di case felici. Paolo Gervasi, tra gli ideatori della rassegna, mi ha fatto una bella introduzione, citando i versi ciclabili e le deonomastiche e il mio rapporto col linguaggio. Per cinque minuti, dopo quattro anni che ci conosciamo, mi ha preso sul serio e mi sembra un ottimo risultato. Ogni tanto, durante la lettura, mandavo una traccia audio di Simone Cristicchi che recitava una poesia, poi dicevo qualcosa di molto confuso per spiegare come mai avevo scritto questo o quello. Quando ho fatto sentire il brano composto da Sara al pianoforte, che introduce la poesia “La casa col piano”, Sara, che era in prima fila, si è messa le mani sulla faccia, come per nascondersi, ma l’ho vista che era molto contenta che il teatro ascoltasse la sua composizione al piano. Alla fine della lettura Alessandro Fo, che è un amico, mi ha detto cosa andava bene e cosa non andava bene nella lettura, ma qui i suoi consigli non li scrivo, altrimenti chi ha ascoltato, e che forse non si è accorto di cosa non andava oltre a ciò di cui si fosse già accorto, non saprà cosa non andava. La lettura di Fo è stata molto bella, come sempre, per la musicalità che la sua traduzione dell’Eneide regala all’orecchio (qui le tracce audio sul sito Einaudi) e perché i problemi di traduzione risultano sempre affascinanti anche fuori dall’ambito accademico.

Nel frattempo, mi è stato fatto notare, sto assumendo le sembianze dell’omino blu circonfuso di lettere disegnato da Guido Scarabottolo nella mia copertina. Dev’essere una forma d’immedesimazione e d’impazienza per l’uscita del libro, ormai prossima.

foto di Simone Ticciati

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