Ritratto di mio padre attraverso le auto


La prima auto che ebbe mio padre mi è consustanziale, nel senso che la prese quando nacqui io, nel 1972, o, in parte, proprio in funzione della mia nascita. Tento il ritratto di mio padre attraverso le sue auto, ed è, fin da subito, il ritratto di una eccentricità, di un anticonformismo naturale. La prima fu, dunque, una DAF 44 (o era una DAF 33?). Ce l’aveva solo lui. Automatica. Celeste. Non una FIAT, come tutti. Non un Maggiolino, come Herbie che in quegli anni stava al cinema. O come il padre di un mio compagno di scuola materna. Le auto segnano gli immaginari e anche le relazioni, misurano gli status sociali, i conformismi, il censo o, come dicevo, le eccentricità, le idiosincrasie individuali. Quando ero molto piccolo pensavo che mio padre avesse quell’auto strana, che nessun altro aveva, solo perché gli somigliava: il frontale, i fanali tondi, erano per me il volto esatto di mio padre. La propria fisionomia depositata nella macchina che si sceglie di guidare. Forse è ancora così, per molti. Agisce sempre il tema del “vedere come” di Wittgenstein, in fondo. La DAF 44 celeste aveva interni in plastica nera, e io ricordo nettamente la polvere che si accumulava nelle piccole scanalature dei sedili.  Il cambio automatico fu il marchio della devianza dalla massa di piloti a cinque marce che caratterizzerà tutta la “carriera” automobilistica di mio padre che guiderà sempre e solo auto col cambio automatico e sarà sempre ai miei occhi, per condensazione psicoanalitica, il segno della sua “diversità” e unicità. “No, mio padre non è zoppo…No, è che preferisce così…Sì, guida solo il cambio automatico…”.

Quella prima DAF durò più d’una decina d’anni, corrosa più volte dalla ruggine nel pianale, aggiustato con pezze saldate a fuoco*, in un bricolage motoristico che oggi non supererebbe mai gli standard minimi di sicurezza richiesti ad un’auto. Mi è sempre sembrata interessante la natura culturale del concetto di “sicurezza stradale” e i relativi progressi tecnologici (airbag, cinture, abs…etc. etc.). La sua seconda auto fu ancora una DAF, ma camuffata da VOLVO. La casa svedese aveva acquistato la piccola casa automobilistica olandese, e così metteva il suo logo prestigioso su le scocche squadrate della produzione precedente. Era una VOLVO 66 station wagon GL (Gran Luxe), di colore amaranto e con una striscia argentata lungo la fiancata.  Come si può osservare, retrospettivamente, l’eccentricità chiama altra eccentricità. La VOLVO 66 era una diretta evoluzione  della DAF 44,  e fu acquistata usata quando stava per nascere mio fratello e io dovevo fare la prima comunione. Meglio, fu acquistata perché doveva nascere mio fratello e io volevo fare la prima comunione. Era il 1981. Ecco che il tempo mi consente di tracciare le linee di continuità di mio padre automobilista: 1) auto eccentriche; 2) auto sostituite secondo una linea evolutiva dello stesso modello; 3) cambio sempre automatico; 4) rigorosamente USATE.

Mio padre automobilista ha avuto, per molti anni, un alter ego, un “deus ex machina”, letterale, che compariva regolarmente nei nostri discorsi, anche in modo ironico e autoironico, come antonomasia di procacciatore, riparatore, medico guaritore di tutte le sue auto: l’Officina Del Mancino di Massa. C’era un rapporto di familiarità, di affetto, quasi di parentela: acquistava le sue auto, usate, tramite quell’autofficina, specializzata in auto eccentriche col cambio automatico. L’odore di gomma e di “nuovo” degli autosaloni è stato per me, per noi, per molti anni, solo una forma di turismo: andavamo a vedere le auto, facevamo preventivi, sognavamo ad occhi aperti, come tutti, ma poi lui comprava un’altra auto usata, automatica da…Del Mancino. Lo stesso che le avrebbe manutenute con cura, con un sapere sciamanico ed esclusivo. Del mancino, i Del Mancino, padre e figli, erano per noi l’antonomasia di “automobile”, proprio come nel rapporto con un medico “di fiducia”, un confessore di pastiglie dei freni, cinghie di trasmissione, sospensioni…

L’evoluzione naturale, quindi, della VOLVO 66, fu la serie 300 della VOLVO (sempre by Del Mancino). Era, quella, già una VOLVO più VOLVO: solida, avvolgente, una due volumi e mezzo originale e sicura. Bianca, a cinque porte, con gli interni bordò. Doveva essere il 1985 o giù di lì. Non so quanti chilometri ci abbia fatto mio padre, ma fu una macchina resistente, portata pure per un anno nelle strade innevata del profondo Nord, sopra Belluno. Ricordo le gomme chiodate.**

L’auto successiva fu una discendente della VOLVO 343 DL Variomatic, era una 360 sedan, 3 volumi, 4 porte; era di color carta da zucchero metallizato ed era molto comoda. Di lei ricordo i tergifari, il velluto dei sedili, e il bagagliaio molto squadrato. Non ricordo quanti anni l’abbiamo tenuta. Forse fino a primi anni Novanta, fine anni Ottanta. Sempre dell’era “Del Mancino”  fu la successiva, una Dedra 2.0 ie Automatic. Fu un’auto importante perché, simbolicamente, segnò l’uscita dal mondo meccanico “DAF/VOLVO” per approdare ad un prodotto nazionale. Una momentanea flessione dell’eccentricità di mio padre, un’appannamento passeggero. La DEDRA l’ho guidata anch’io qualche volta, tanto per provare la guida automatica, ricordo una volta lungo le colline che da Casale Marittimo riportano verso Nord, verso Pisa. Era blu scura metallizzata e aveva un impianto d’aria condizionata efficace, il primo che sperimentavo in un auto di mio padre, quindi il primo segnale di “comfort”, di “lusso”, nell’intera esperienza automobilistica familiare.

La Dedra fu auto di costosa manutenzione e riparazione periodica, mi pare di ricordare, che arrivò stancamente fino alle soglie del Duemila. Il cambiamento esistenziale della pensione portò ad un cambio d’auto. Nello stesso momento, nel 2004, acquistò un’auto nuova (per me, auto che guido tutt’ora, una Toyota monovolume) e una…usata, per lui: una Toyota Prius, seconda serie. L’era “Del Mancino” non era più praticabile nel Terzo Millennio. Ecco che al cambio automatico e all’usato si era aggiunta l’eccentricità definitiva: l’alimentazione ibrida. Abbiamo ancora moltissimi chilometri da fare insieme, mio padre ed io, e so che la sua prossima auto, forse,  sarà un’altra automatica. Totalmente elettrica, oppure a idrogeno. Nel frattempo, a settantadueanni compiuti, ha scoperto improvvisamente la felice libertà di un maxiscooter che lo porta al mare appena può. Inutile dire che lo scooter è automatico, e usato.

*  (errata corrige: le toppe in metallo erano imbullonate sotto la scocca e non saldate)
**(errata corrige:  in Veneto andò con la VOLVO 66, la 323 è successiva)

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