Guido Scarabottolo

Arrivo a Milano in una mattina di maggio molto calda, e sui navigli si sta bene a prendere il sole. Guido Scarabottolo mi aspetta nel suo studio; mi ha dato indicazioni dettagliate per raggiungerlo, per me timoroso provinciale che tende a perdersi molto facilmente nelle metropoli. Ci sediamo al suo tavolo, su due sedie coi braccioli, rosse, simmetiche che, mi racconta, sono state recuperate dall’abbandono certo. Il tavolo è di un legno grezzo, e molto poroso. Sistemo il telefono per registrare l’intervista che poi è, per me, una specie di pretesto per incontrarlo e dialogare. Io le interviste non so farle, non so come registrare, non so chiedere le cose giuste che si trovano dentro le interviste, e sono un intervistatore timido. Appoggio sul tavolo un paio di cataloghi dei suoi lavori (“Elogio della pigrizia” e “Sotto le copertine”, editi da Tapirulan), e una cartella con le stampe del suo Pinocchio. Proviamo il volume della voce, Guido si preoccupa che il rumore di fondo dello studio al lavoro possa coprire la nostra intervista, perché lui parla a bassa voce, sia in senso letterale sia in un senso figurato, per quel naturale understatement che hanno, a volte, i grandi pensatori. Cominciamo.

(continua su Il Bureau)

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