Ieri notte, era molto tardi, ho avuto un’illuminazione poco prima di dormire. Ho pensato quale sarà il problema maggiore risultante dall’apertura imminente del “gigante svedese dell’arredamento” a Pisa (colleziono sempre le perifrasi più stucchevoli dai giornali, quella cosa che t’insegnano alle elementari a non ripetere troppe volte la stessa parola in poche righe, e allora dopo che hanno scritto IKEA per due righe di seguito devono trovare una perifrasi). Insomma, dicevo, era molto tardi e improvvisamente ho visualizzato l’interno del nuovo negozio IKEA a Pisa che apre, dovrebbe aprire, rotonde infiltrate dalla mafia permettendo, tra meno di un mese, il 5 marzo. Che avrei pure da comprare una cassettiera e un tavolo e quindi la cosa mi riguarda da vicino. Stavo per dormire e ho capito cosa temo di più. No, non è il traffico, non le code, non la viabilità intasata, e neppure il canto delle sirene di migliaia di oggetti inutili che mi chiameranno all’acquisto quotidianamente.
No, è stata la naturale e congenita misantropia a parlarmi, a rivelarmi un dettaglio inquietante, ieri notte. Fare compere nel nuovo punto vendita del gigante svedese, qui a Pisa, in una città piccola come Pisa, significherà, di fatto, di necessità, incontrarci…i pisani. Cioè decine e decine di conoscenti. Nessun pomeriggio d’acquisto compulsivo negli ambienti IKEA sarà più agevolato dal brusio anonimo dell’anonimo porto di mare di Sesto Fiorentino (che è già di suo un non-luogo perfetto, la zona industriale di Sesto Fiorentino tutto, intendo). No, tutto sarà funestato da saluti, interrotto da accenni di saluto, punti di domanda (lo/a conosco, oppure no?, dove l’ho già visto quello/a?), sguardi, convenevoli inutili di: colleghi, amici, parenti, vicini di casa, autorità, personaggi pubblici, sosia.
Basta, ho deciso.
L’ho deciso stanotte, in un’illuminazione per una volta limpidissima.
Continuerò ad andare all’IKEA di Sesto Fiorentino, sconosciuto tra sconosciuti.
Libero.