Bambini


Faccio molte foto. Sono appunti che prendo sotto forma di “grafia” per immagini e stanno affianco, senza mai alcuna pretesa di validità fotografica,  alle grafie di tipo alfabetico, tipo questa, che assemblo. Lo “stare in rete” di questi dieci anni è stato, per me, un agglomerare grafie, testi, giochi.  Tanto che, credo, ho scritto un’unica cosa, un unico textus distribuito o disperso, però, in formati diversi: piattaforme, progetti, pretesti, siti, blog, rubriche, concorsi, collaborazioni. Per la carta, per le cose lasciate su carte, vale un discorso diverso, sono percorsi differenti che hanno a che fare con una dimensione temporale diversa.  Ma per le scritture di rete le vedo come un unico filo ininterrotto, bave di byte, lucine intermittenti. Guardavo delle foto scattate a Sara, e mi sono accorto che le foto che la ritraggono sfocata, sfocata perché in movimento, sono più “belle” di quelle in cui lei posa per la foto.

Allora ho pensato che le foto sfocate ai bambini, in genere, sono molto più belle. Non tanto per le questioni di “privacy” del minore (non mi interessan0), quanto perché viene reso, così, il senso di continuo dinamismo (di pensiero, di movimento) che è essere bambini. Poi, guardando la foto qui sopra, di due bambine che corrono, e Sara è seduta a destra a disegnare, in biblioteca, ho pensato che a me piacerebbe proprio scrivere delle cose sfocate come questa foto qua sopra, dove le cose che leggi sono comprensibili perché sono sfocate, e tu capisci che sono sfocate perché dentro le cose che  vengono descritte, i pensieri che vengono espressi, sono in movimento e non stanno fermi, ma cambiano, si spostano. Allora quando riesco a scrivere una cosa sfocata io sono contento.

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