Periodicamente mi torna l’interesse per le raffigurazioni del tempo (calendari, atlanti delle settimane, agende, lunari, almanacchi…). Organizzo le settimane tracciando col gesso i quadrati di un gioco, lancio il sasso del compito che ogni giorno prevede, sassi diversi, per forma e per peso, sto in equilibrio su una gamba sola, poi atterro su due, mi fletto e mi piego sulle ginocchia, raccolgo il sasso, lo rilancio dentro un’altra giornata. Questa immagine contiene qualcosa di perspicuo e di pericoloso insieme. (non ricordo dove, ma ho già scritto questa metafora, identica, anni fa, da un’altra parte; forse in pagine non più rintracciabili, o forse è un falso ricordo.)
Per abitudine scrivo gli impegni su diversi calendari di carta, da tavolo, da parete, con una matita rossablu a punta grossa. Le settimane sono griglie, schemi, come il tempo intarsiato con Sara, i promemoria degli arrivi e delle partenze, del dormire, delle trasferte; le settimane si sviluppano orizzontalmente, come i quadrati tracciati sull’asfalto del gioco infantile; in verticale, invece, è il tempo lavorativo (ne ho scritto tempo fa, di un altro tipo di raffigurazione del tempo che è il cartellino delle “timbrature”). La doppia strisciata quotidiana del badge ritaglia la giornata lavorativa, ferma il tempo a un’oraminutosecondo per l’entrata e l’uscita, quantità di tempo che viene remunerata sotto forma di risarcimento, e non di compenso. Tempo lineare (orizzontale) e tempo verticale (il formicaio) convivono, crosswords della mia cronologia privata.
(Sulle raffigurazioni del tempo vedi “Cartografie del tempo” di Daniel Rosemberg e Anthony Grafton, Einaudi, da cui è tratta l’immagine qui sopra. Un estratto del volume si trova qui)