Metaletture quotidiane

Riprendo qui alcune riflessioni condotte nei giorni scorsi via mail con un’amica, Tiziana, con la quale si cercava di mettere a tema la questione se sia possibile o meno leggere un prodotto narrativo di largo consumo (i famosi “fenomeni letterari” o best seller) senza attuare involontariamente un sistema di analisi del testo di tipo pregiudicante, o comunque un tipo di lettura analitica che prende distanza dal testo per scoprirne, continuamente, meccanismi, astuzie, debolezze. E’ possibile essere semplicemente “lettori” di quesi testi e non i loro anatomopatologi? La domanda dimostra delle analogie con un altro tema ricorrente nella mia riflessione (“C’è un modo di “vivere” e basta, senza voler capire?”) La mia risposta è: sì, c’è un modo, ma non è detto che sia concesso a tutti lo sperimentarlo, e sempre. Il rapporto coi testi “fenomeno” (i libri in classifica, i best seller della narrativa) può richiamare in alcuni di noi l’atteggiamento del vivisezionista: vuoi capire come e perché funzionano, e stabilirlo passa necessariamente attraverso una quantità di variabili che in gran parte esulano da una valutazione del “valore artistico” dell’opera (l’attenzione sui titoli, sulle copertina, cioè su strategie, messaggi, richiami a tradizioni inconsapevoli che poi fanno reagire il pubblico, il mercato, in una certa direzione a volte in maniera totalmente indipendente dal valore artistico/letterario del libro….e qui si aprirebbe un capitolo a parte su quali siano i criteri storico/critici per stabilire il valore artistico/letterario di un libro, quindi sul rapporto tra ruolo della critica e pubblico, e tra pubblico e mercato…). Questo atteggiamento, di fatto, impedisce di “fruire” di quell’opera, di “usare” quell’opera per le sue finalità perché la stai “studiando” nel suo funzionamento. Un po’ come se il piacere di guidare un’auto ti fosse impedito dall’analizzare, ad ogni chilometro, le risposte del motore, i consumi, il sottosterzo, il sovrasterzo etc. etc. E magari è proprio quello che capita a un collaudatore di auto, che si chiede, scrivendo mail ai suoi amici: “C’è un modo per guidare e basta, senza voler capire?”.

Io credo che, per formazione o predisposizione, alcuni mantengano un rapporto particolare con ogni forma di testualità. Ci sono diversi tipologie di lettori possibili e, non a caso, Tiziana mi invitava a leggere un divertente pezzo di Benni, Psicopatologia del lettore, nel quale è facile riconoscersi per ognugno di noi, ora in un tratto ora nell’altro. Per alcuni, però, la testualità si impone come paradigma. Eppure è possibile sperimentare anche (leggendo un racconto, un romanzo, una poesia) la pura esperienza estetica che quell’opera richiede da noi: cioè non un’analisi, ma una reazione. Tutta l’arte ci chiede di reagire. Se avessimo solo analisi, come risposte al leggere, e non mai reazioni, saremmo davvero condannati a una tortura tantalica. L’esempio di partenza è, fortunatamente, circoscritto perché parte dalla curiosità di capire il funzionamento di quel particolare genere letterario che sono ormai i “best seller” contemporanei.

Io non leggo quasi niente della narrativa contemporanea italiana che va in classifica, non cerco di capire questi fenomeni, ne prendo atto come parti/prodotti del flusso comunicativo del presente e, come tali, li subisco; per pigrizia, confesso di non averne mai aperto uno. Sicuramente mi perdo anche dei bellissimi libri, ma non ho la curiosità di capire il perché quei libri abbiano venduto tanto. Inoltre ogni bestseller è circondato da un tale alone meta-comunicativo tanto denso (recensioni, passaggi tv, trasposizioni cinematografiche, interviste all’autore, premi letterari, riassunti, sovraesposizione pubblicitaria sia mediatica – stampa e web – sia commerciale – spazio fisso nelle catene librearie…) che pur non leggendoli tu, alla fine, ne conosci trama, personaggi, sviluppi, stile. Paradossalmente il leggerli diventa un atto accessorio rispetto alla pervasività che il titolo, il prodotto, ha già conquistato nella tua percezione e conoscenza di esso. Per osmosi. Contagio.

Questo tema, del leggere/analizzante, come condanna di un lettore che non riesce ad abbandonarsi alla storia, mi ricorda anche un po’ quelle figure votate alla “instabilità percettiva”, la lepre/anatra, la donna/freud, dove a seconda di come concentri la visione vedi una o l’altra figura. L’estate dell’anno passato lessi di seguito due romanzi di Simenon, e non avevo letto mai niente di Simenon, due bei romanzi senza Maigret. E li ho letti proprio col gusto puro di leggere, cioè di stare quel tempo dentro un mondo parallelo, che è quello delle storie che mi stava raccontando Simenon. Quando la lettura funziona, io credo, ha proprio questo potere di trascinamento violento dentro un mondo parallelo. Perdersi per ritrovarsi.

Dunque: sì, è possibile fare esperienza di lettura senza essere “anatomopatologi del testo”. Dipende dal testo. E dalle nostre teste. E nella vita? Sì, penso sia possibile. C’è pure una forma di abbandono all’energia della vita che, a volte, ti fa smettere di mettere tutto sotto osservazione. A me torna in mente la distizione tra uso e menzione di un segno. Togliamo le virgolette, togliamo tutti i meta-ragionamenti di cui siamo capaci, e al fondo delle ragioni e dei ragionamenti troviamo azioni. Scelte, bivii, passi falsi, decisioni sbagliate, decisioni giuste.

3 thoughts on “Metaletture quotidiane

  1. Sì, son d’accordo con il ragionamento nel suo insieme (pontifico un po’ anche io, adesso), però mi verrebbe da aggiungere che se questo tipo di trascinamento violento, di eliminazione delle virgolette ci accade sempre più- volenti o nolenti, coscienti o meno- nella vita (e che sia tutto positivo in questo ambito resta da dimostrarlo), accade invece sempre meno per la lettura. tendiamo (tendo?) sempre più ad analizzare il libro che abbiamo in mano e sempre meno ci è possibile l’esperienza di essere portati da un’altra parte. Fine della pontificazione.

  2. E’ vero, che sia davvero positivo nell’ambito della vita è da dimostrare. Certe vite lo dimostrano, altre lo sconfessano. Sui libri: accade, coi bei libri. Ancora se ne scrivono, per nostra fortuna. E sempre se ne scriveranno. :-)

  3. A volte ho l’impressione che li abbiano già scritti e pare che in fondo anche tu lo pensi. Ciao. :-)

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