C’era un volta il pentapartito…

occhio.jpgSarebbe bello credere ancora a Babbo Natale, quei bei tempi in cui o eri comunista o eri democristiano, oppure non eri né carne né pesce e potevi trovare pure giovani che si dicevano “repubblicani” o “liberali” o “socialdemocratici” (status che contraddiceva lo stesso essere giovani, ovviamente), roba da rotary club. Devo confessare che questo avvio di campagna elettorale mi ha messo in una certa difficoltà e faccio fatica a “riconoscermi” nelle forme e nei linguaggi della politica contemporanea.

Come è noto, non credendo più a Babbo Natale, mi ero astenuto dal voto delle primarie per l’elezione del segretario del nascente PD. Mi ripromettevo, così dicevo, di attenderlo alla prova del voto (che ingenuamente speravo mi sarebbe stato richiesto nel 2011), del programma di governo per questo paese che ama essere sempre un po’ cialtrone. Ora, il nascente PD (perché il PD porta con sé sempre una atmosfera di permanente nascita) chiede il voto a me, suo elettorale naturale, per formazione personale e convincimenti. Chiede il voto ad una persona che non considera quasi verosimili, o praticabili, altre direzioni di voto, data la recente contrazione degli schieramenti. Da qui la mia intima difficoltà: perché il Partito Democratico non riesce ad entusiasmarmi, a “scaldarmi il cuore”, a coinvolgermi in una forma, anche minima, di attivismo e volontariato politico? Provo a rispondermi.

Alla presentazione della campagna e del programma elettorale sono stato subito infastidito da una piccola precisazione sul simbolo, un’indicazione che devo aver già visto da altre parti: Veltroni Presidente. L’attuale (pessima) legge elettorale non contempla l’elezione del Primo Ministro (che io sappia non c’è sistema elettorale che lo preveda in Europa…) e allora da qualche anno a questa parte si è presa l’abitudine di proporre una specie di riforma costituzionale sui generis per via “cartellonistica”: scriviamo “Tizio Caio Presidente” come sfondo o come bordo del simbolo elettorale (sul modello dell’elezione diretta dei Sindaci) e il gioco è fatto, abbiamo l’investitura diretta, popolare, plebiscitaria del Presidente del Consiglio (ciao ciao all’articolo 92 della Costituzione).

Poi ho iniziato a seguire il tour di Walter, e non ho trovato particolarmente originale, nei comizi, il richiamo alla retorica di un “Italia che non odia” (anche questa devo averla sentita da qualcun altro) anche perché mi è parsa una specie di continua (e affettata) autoconferma identitaria, per un partito (il sempre nascente PD) che stenta a definire con chiarezza la sua natura (Di Pietro sì, Radicali no, Socialisti no…).

Tutti hanno applaudito la scelta di correre “da soli”. Anche qui ho qualche perplessità. Temo, o so, che l’atmosfera del dopo-elezioni e della formazione del governo non ha quasi mai niente a che vedere con gli sforzi di costruzione identitaria e di marketing politico che vengono esercitati durante le elezioni, e faccio fatica a credere che il PD, pur col premio di maggioranza garantito dalla legge elettorale, possa avere una completa autosufficienza politica per governare le tensioni, le istanze differenti e le richieste, talvolta, divergenti, che vengono dal paese e dall’elettorato. Dirò di più: un governo “monocolore” è davvero un governo più rappresentativo, più efficiente, più stabile per definizione? Ripeto, sono i dubbi di un elettore potenziale del PD, un ex ulivista convinto, un giovane ex comunista (meglio, un ex giovane ex ex-comunista, perché già a 16 anni, pre-caduta del muro di Berlino, gli aspetti fortemente ideologici e conservatici del vecchio PCI mi parevano insopportabili…).

Il fatto è che il “sempre nascente PD” non deve o non vuole parlare tanto a me (ex, ex, ex) che poi il mio voto in un modo o nell’altro lo avrà. No, il sempre nascente parla a chi deciderà il voto negli ultimi dieci giorni, a chi ha provato due o tre ammorbidenti diversi e ora sceglie la confezione più nuova, quella verdolina chiara. C’è pure il rischio, però, che per farsi capire da chi deve provare l’ammorbidente più nuovo si finisca per non farsi capire più dagli ex, ex, ex come me. Mi tengo i dubbi e aspetto di andare a votare.

11 thoughts on “C’era un volta il pentapartito…

  1. La ventata di aria nuova portata dal ciclone di mani pulite si e’ gia’ esaurita, a mio parere. Ne parlavo proprio oggi con un amico, a pranzo. Il problema di questa campagna elettorale, oltre che nei contenuti e nelle forme, e’ proprio nelle persone. I francesi hanno un Presidente che sposa una fotomodella, gli spagnoli hanno un under-cinquanta che con coraggio porta avanti la sua politica VERAMENTE di sinistra, i tedeschi hanno una grande coalizione fatta pero’ da una donna giovane e dall’opposizione. Solo in Italia hanno il coraggio di riproporre sempre le stesse solite persone: Berlusconi ha superato i settant’anni e sarebbe ora che andasse in pensione, Prodi era fin troppo “debole” per portare avanti una coraggiosa politica alla Zapatero, poveretto non c’ha piu’ l’eta’ neanche lui. Cosi’ ci tocca andare a votare senza sapere chi eleggeremo, chi siedera’ sulle poltrone porporate dei palazzi di potere. Sia che vinca la destra, sia che vinca la sinistra, il problema rimane: un ricambio generazionale, un uomo forte in grado di comunicare al Paese un rinato senso di fiducia, a costo di scardinare caste e diritti. Ma questo supereroe ahime non esiste, almeno non in Italia.

  2. Il nocciolo è proprio lì (ma anche là… credo: insomma, un po’ ovunque): finirà che il voto lo darò al pidì, perché “tutto il resto è noia”, o peggio – nonostante alcune recenti tentazioni anticlericali (o di deteriore laicismo, come direbbe il buon Ruini) che mi fanno guardare con simpatia i socialisti (oddìo, che ho detto?! Proprio io che ho la collezione completa di “Tango” e “Cuore”…). Però tutta la confezione fa ribrezzo, proprio a partire dal fatto che E’ una “confezione”.
    Cercare di vendere il proprio brand associandolo a quello nordamericano (che peraltro non vedo come possa appassionare – e invece tutti lì a tifare Barack o Hillary come se fossero persone “di famiglia”) perché in questo periodo “tira”, è un trucchetto da pubblicitari da quattro soldi.
    E a proposito di pubblicitari: da anni la sinistra si affida a gente di cui vorrei conoscere il nome e l’indirizzo, specie quando leggo per le strade frasi del tipo “Adesso una Italia nuova”… (“Ma come parla?” ecc.)

  3. Siamo tutti un po’ ex di qualcosa. E ci vorrebbe una fenomenologia dell’ex che riuscisse a restituire le tonalita’ emotive che lo caratterizzano.
    Rimpianto, vergogna, ma anche orgoglio o collera sono solo alcuni sentimenti che possono colorare la condizione di ex. E poi c’e’ il circuito della memoria e i suoi corto-circuiti che magari ti portano a ricordare (indietro) quello che dovresti sperare (avanti).
    Insomma uno “gnommero” forse troppo complicato per questa classe politica.

    Ricordo un libro di Antonio Tabucchi di diversi anni fa “Il filo dell’orizzonte” che aveva una citazione di Vladimir Jankélévitch in epigrafe

    “L’essere stato appartiene in qualche modo a un “terzo genere”, radicalmente eterogeneo all’essere come al non-essere”.

    Forse l’ex e’ questa roba qui. Difficile da fotografare. Concetto che smotta. E per questo interessante…

  4. Camu, l’uomo forte noooooo :-)

    Simone, siamo nello stesso spleen elettorale? ;-)

    Bibi, dubito sempre di chi non sia ex di qualche parte di sé

    Max, la tua facilità non semplifica, Max ( ;-) )

  5. Dubbi tantissimi, ma è quello che ci offre la politica oggi… E ancora una volta andrò a votare senza nessuna convinzione. Giulia

  6. l’importante è aver chiaro che non si può vincere: si può sempre e solo perdere (semmai, con differenti gradi di separazione dalla sconfitta definitiva)
    Questo significa, essere ex.
    Firmato:
    Un ex

  7. giò, ma la notizia che mi arriverà non sarà una tua candidatura, vero? (candeggina. nel senso di candeggina)
    io aspetto, eh?!

  8. Giulia, c’è ancora un mese di tempo per ritrovarne…

    Effe, lei è un ex ante, o un ex anta… :-)

    Giarina, trattasi di invio postale non ancora pervenutole, ne ricavo…

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