Tipo “Alfabeto Einaudi”

Ho incontrato LR la prima volta a Roma nel dicembre del 2006. Facevamo parte entrambi di una specie di talk-show surreale dedicato ai blog e alla scrittura, all’interno degli incontri dell’area blog del salone PiùLibri. Ero curioso di conoscerlo, perché abitavamo tutti e due a Pisa e perché siamo quasi coetanei. Come è noto, non essendo io a quel tempo “diventato” ancora uno scrittore, odiavo sinceramente tutti gli scrittori nati negli anni Settanta. Così, mi pare, già alla presentazione gli dissi qualcosa tipo una battuta o una punzecchiatura, biliosa, che non ricordo. Poi mi colpì la sua camicia a quadrettoni, una camicia a quadrettoni troppo grossi per quell’occasione pubblica (troppo grossi per qualsiasi occasione pubblica, fatta forse eccezione per un festival di boscaioli tirolesi, o canadesi). Scoprii solo anni dopo che quella camicia doveva avere per lui valori scaramantico-affettivi. Tanto che gliela rividi addosso, in foto, in occasioni pubbliche ancora più importanti di quella del nostro incontro.

Se non ricordo male, infatti, la indossava anche quando vinse il prestigioso Premio Chiara. E se non era quella camicia, era una sua gemella. Familiarizzammo, sondando il terreno dei gusti letterari reciproci e della capacità di non prendere sé, e il mondo, troppo sul serio, condividendo il viaggio di ritorno in treno, da Roma a Pisa. Da allora prendemmo a frequentarci con una certa regolarità. In quegli anni usavano ancora i blog, quindi le interazioni, gli scherzi, i suggerimenti di lettura, gli appuntamenti passavano anche dai messaggi nei rispettivi siti. E dagli sms. Ci convocavamo per un caffè pomeridiano, o per una colazione del sabato mattina. Io lo aggiornavo sulle mie noie da schiavitù intellettuale, precario cronico in un ente locale – allora lavoravo ancora in Provincia – tanto che lui mi aveva ribattezzato con sintesi lucidissima “bourgeois a progetto”; lui mi raccontava gli avvii promettenti, i progetti, i retrobottega degli editor e dell’ufficio stampa di un “giovanescrittoreinaudi”. Nel mezzo ci scambiavamo consigli di lettura e giudizi urticanti su tutti gli scrittori nati nei Settanta. Ricordo che cercavo, quasi sempre invano, di privarlo un po’ del privato: gli facevo domande sugli affetti, i fidanzamenti, gli ex amori, ma non per curiosità o invadenza. Era un modo di comunicargli una vicinanza affettiva, una via d’amicizia. Pur nella sua riservatezza, a suo modo riusciva ad essere affettuoso.

A partire da un naturale istrionismo attoriale – aveva tentato in gioventù la via della recitazione come alternativa secca alle aule universitarie – ogni tanto, nelle nostre conversazioni, la sua maschera cinica e satirica abdicava in favore di una melanconica fissità espressiva che era, improvvisamente, disposizione all’ascolto, sincera empatia. Un momento dopo, quindi, era nuovamente preso in una risata strozzata, dissacrante ed autodissacratoria. Ogni tanto lo minacciavo di invitarlo a cena a casa nostra, per calarlo in una di quelle cenette familiari, borghesi, condominiali, che fanno da sfondo tragico e osceno a diversi sui racconti. Ci perdemmo di vista molto gradualmente. Andò che dai primi tentativi di scrittura teatrale, di riscrittura e sceneggiatura dei suoi racconti, arrivò direttamente al cinema. Fu chiamato a collaborare proprio alla sceneggiatura del film che trassero dal suo racconto col prete. Non ricordo quale fosse il regista di quel film, forse Piccioni, o Soldini, o D’Alatri, o Salvatores, non lo ricordo più. Si trasferì a Roma, mi pare fosse la primavera del 2009 o del 2010. Ci rivedemmo a Torino, al Salone del libro, quindici anni dopo e stentavo a riconoscerlo. Aveva preso qualche chilo e perso diversi capelli: sorrideva nello stesso modo buffo e non indossava più la camicia a quadri troppo grossi. Prendemmo un caffè al Florio, ingiuriando tutta la generazione di scrittori nati negli anni Settanta.


(questa fanta-memoria postuma è ispirata al bellissimo “Alfabeto Einaudi” di Guido Davico Bonino, molto opportunamente donatomi da Luca Ricci, al quale dedico il post)

7 thoughts on “Tipo “Alfabeto Einaudi”

  1. era il dicembre 2006.

    ho molte camicie a quadrettoni. io non vorrei, me le regalano i personaggi dei miei racconti.

    appartengo alla schiatta di quelli secondo cui un buon libro non può interessare il “cinema”. lo dico per scaramanzia, ovvio (semmai Garrone, però).

    occhio ai refusi, è un pezzo che rimarrà.

  2. Le camicie a quadri mi ricordano i tempi in cui ero nell’OMG, era la “divisa ufficiale”.
    La curiosità cresce… Vediamo se trovo uno di quei libri.

  3. LR oggi ho ordinato i tuoi libri, ma guarda te come è piccolo il mondo, magari ci siamo anche incontrati a qualche campo dell’OMG. Io sono uscita nel 95-96, facevo gruppo a Faenza.

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