Ai tempi del liceo…

Una mia compagna di classe dei tempi del liceo, Claudia, mi raggiunge a sorpresa via blog e mi pone una domanda davvero capitale: “non ho letto nulla sul tuo blog del tuo passato remoto, parlo degli anni del liceo…. mi piacerebbe sapere come li rivedi a distanza di anni e che cosa provavi allora“. Quale invito migliore per condurre una piccola riflessione autobiografica sulla mia adolescenza? Credo che dentro ognuno di noi permangano, nel corso del tempo, tutti i vari “io” che siamo stati e che non siamo più; un po’ come accade con la struttura del cervello umano, che compendia lo sviluppo dell’intelligenza animale (cervello rettile, cervello intermedio, cervello superiore…), allo stesso modo le nostre “personalità” (non multiple, si spera) sono semi-matrioske dove per vari gradi, sfumature, transizioni, rotture, lacerazioni, suture, si saldano i tanti modi di essere che, in definitiva, danno forma al nostro percorso di “crescita”. Mi ricordo e mi rivedo al liceo e provo sempre un sentimento di tenerezza per quel Matteo là, che non sono più. Per fortuna. Ma in larga parte sono ancora e sempre quello là, pur non essendolo più. Intanto, come ero?

Molte cose le ho dimenticate. Un oblio involontario, forse auto-protettivo. Ri-cordare significa, in questo caso, non solo “richiamare al cuore”, ma fare quasi una specie di seduta spiritica per richiamare in vita il fantasma, l’ologramma di ciò che si era. E non è detto che si riesca sempre a riconoscersi (come avviene, ad esempio, nel bel film “Faccia a faccia”, dove Bruce Willis incontrava ed aiutava il se stesso bambino. Titolo originale: The Kid – c’è sempre molta filosofia, per me, nei filmettini americani di quel tipo). Dunque, vediamomi.

Ero una specie di “nerd“, che tradotto in italiano suona tipo “secchione sfigato”. Ma non troppo troppo nerd. Andavo bene nelle materie letterarie, meno in quelle scientifiche; ascoltavo solo musica classica e jazz, avevo iniziato a studiare il sassofono; all’ora della ricreazione, ricordo un nerd più giovane (Nelson, dove sei?) che mi veniva a trovare in classe per parlare della tale registrazione del tale pianista, o violinista; prendevo cotte un po’ ridicole puntualmente non ricambiate; mi piaceva scrivere, andare in bicicletta e giocare a pallacanestro; non vestivo alla moda, anzi: m’intestardivo in abbigliamenti ridicoli, in cravatte anzitempo annodate (la con-sorte mi minaccia sempre con gli amici di mostrare le nostre foto di classe dei cinque anni di liceo…); m’interessavo di politica, e proprio nel cuore degli anni (gli Ottanta) del disimpegno edonistico. Come potete capire, un disadattato. Ma simpatico.

O, almeno, io mi stavo simpatico. Nel senso che credevo alle cose, alle posizioni – spesso intolleranti – che prendevo. E’ in quegli anni, infatti, che si formano certe scelte fondamentali: non su cosa si vuole diventare da grandi, ma sul come si vuole diventare, che tipo di persone si vorrebbe essere (negli affetti, nelle amicizie, nella relazione con l’altro, e con l’altro sesso, nei valori, negli ideali). Non sempre ci si riesce, perché il tendere a “come si vorrebbe” essere dura una vita (e Martin Buber ci ammonisce, con saggezza chassidica, che il nostro compimento esistenziale è un tesoro nascosto sotto lo stesso pavimento di casa nostra (vedi “Il cammino dell’uomo).

Non avevo molto amici in classe, ma nemmeno nemici, spero. Non so bene cosa pensassero di me i miei compagni, oltre all’etichetta di “secchione sfigato” intendo. Questo è appunto il rammarico che esprimevo qualche anno fa in un post di argomento analogo: il rammarico di non avere bene compreso le persone che avevo intorno. Non tutte, certo. L’adolescenza sarebbe così facile e meravigliosa se solo la si potesse vivere da adulti. Forse è per questo motivo che così tanti adulti rimangono adolescenti tutta la vita?

11 thoughts on “Ai tempi del liceo…

  1. io del liceo ho un ricordo pessimo. lo salva solo le partite a calcetto per ben 3 volte in finale nel torneo intero, e sempre sconfitti.

    ma era giusto così.

    io non ricordo un viso delle persone del liceo, dei miei compagni. anzi solo uno che è ancora mio amico carissimo, ma a unirci non fu certo la scuola.

    d.

  2. Eppure, Mauro, scommetto che in qualche smorfia del viso, o in una volé, torna anche quel Mauro là…

    Demetrio, io ho ricordi nitidissimi, tra un vuoto e l’altro. E un sentimento di tenerezza per quel tempo passato…

  3. ecco che scrivevi… :)
    se non mi sbaglio su bookswebtv.splinder.com ci potrebbero essere dei giochi che apprezzeresti e che potresti contribuire in modo colto!

  4. Del liceo, come sai, ricordo essenzialmente di aver stabilito una sorta di record: ogni anno dei 5 in una scuola diversa. In particolare: 5 città diverse, 3 nazioni diverse (in Italia: 2 regioni diverse), 2 continenti diversi. Sarà per questo che il mio ricordo del liceo è fantastico!

  5. ora sei un ex nerd, soprattutto perché la consorte ti aiuta a scegliere i capi di abbigliamento… anche se quel cappellinooooo

    ps: io avevo tanti capelli, allora!:)*

  6. “Molte persone si prendono la briga di creare un’immagine di se stesse, e questa immagine dà loro la consistenza, o l’apparenza della consistenza, che la società sembra richiedere”, Saul Bellow, Ravelstein.

    Forse non c’entra granché. Forse è solo che i ricordi dell’adolescenza conservano quel misto indefinibile di struggente tenerezza e di crudo imbarazzo per l’altro sé stesso (gli altri sé stessi) che si affacciava malfermo ed esitante alle porte della vita sociale.

    Un piumino azzurro chiaro lungo, comprato in un magazzino di abbigliamento sportivo a buon mercato, che suscitava l’ilarità dei coetanei alla fermata dell’autobus (“Ecco il puffo!”).

  7. mi hanno parlato di un villaggio nel nord della Finlandia, dove alla nascita di un bambino il padre intaglia un bambolotto. quando il bambino, proprio durante l’adolescenza, diventa sufficientemente abile nello scolpire il legno, prepara una seconda bambola, cava, un autoritratto, che servirà da involucro al bambolotto, proprio come una matrioska. la tradizione vorrebbe che la persona continuasse con nuove matrioske per scandire tutte le tappe più importanti della propria vita (il lavoro, il matrimonio, l’amicizia, etc.); tuttavia di solito quasi tutti si fermano alla terza o alla quarta bambola, per una forma di scaramanzia: man mano che la dimensione aumenta, la matrioska diventa sempre più simile a un sarcofago.

  8. Pingback: La cena delle medie » Colti sbagli

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