Per una letteratura onomasticocentrica

Cosa hanno in comune questi tre romanzi: Amore mio infinito (di Aldo Nove), Il dolore secondo Matteo (di Veronica Raimo) e Il pasto grigio (di Demetrio Paolin)? Semplice: in tutti e tre il protagonista si chiama come me. E chissà in quanti altri racconti e romanzi che non conosco il protagonista si chiama come me. Che poi è come chiedersi chissà quante altre persone si chiamino, nel mondo, come me. La riflessione che si genera dalla constatazione della propria “unicità nella molteplicità” (o dell’implicito anonimato che pure è interno alla in-dividuazione data dal nome) è una sensazione di spiazzamento per il quale il nome proprio ci pare una specie di calco unico. Non sono io a chiamarmi come te: sei tu, semmai, che ti chiami come me. Perché il mio percepirmi ed il mio percepirmi “nominato” (nominabile) fanno tutt’uno. Ho deciso che leggerò unicamente racconti che mi contengano onomasticamente. (a margine segnalo anche un bellissimo disco da recuperare, Milonga secondo Matteo)

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