Sono occupato: potresti disturbare?

Il semaforino rossoverde della chat di gmail è un segnalatore di presenza molto interessante. Verde, rosso, arancione, codice del semaforo a decodifica automatica (daltonismo permettendo). L’incorporazione del significato verde/libero. Preliminare è l’attivazione della funzione chat e l’invito da inviare ad un indirizzo di gmail per poter comparire tra i contatti di chat. Trovo interessante il caso specifico (e non analizzerò Messanger, che non conosco e non uso, o altri sistemi di messaggistica e comunità audio-video, che talvolta uso) proprio per le modalità di integrazione tra l’ambiente dell’account Gmail (che si descrive proprio come ambiente, atrio, hard disk virtuale col contatore dei gigabyte disponibili in perpetuo aggiornamento…) e il segnalatore di presenza dato dalla chat.

Apro la posta e non sono più semplicemente disponibile alla fortuita risposta quasi-contemporanea delle mail ricevute, ma segnalo che “sono” lì, dentro il mio account di posta (a leggere la posta, a scrivere mail, a depositare, spedendomeli, file sui quali lavorerò in un altra postazione, a scrivere questo stesso post che troverò salvato in bozze e pubblicherò poi nel pomeriggio…) in quel momento. L’essere dentro l’account, dentro l’ambiente account, è condizione prevalente e fondamentale (secondo l’ottica chat) rispetto alla mia presenza “fisica” in un qualche luogo.Ora, il semaforino che avverte i miei corrispondenti gmail (preventivamente abilitati) del fatto che io “sono” dentro al mio account di posta – che mi permette comunque di disabilitare la presenza in chat in qualunque momento – (ho avvertito che avrei indagato l’ovvio, e ovvie dovrebbero suonare queste mie riflessioni a chi ha molta pratica con i sistemi di messaggistica on line, pratica che in fondo io non ho….) è personalizzabile con una serie infinita di sottotesti, sottotitoli che, nella funzione basica, dovrebbero segnalare una specificazione del mio stato di “disponibile” o “occupato” (voci di default del verde e del rosso).

Di fatto, questi sottotesti sono potentissimi pre-testi. Il caso più semplice è far confliggere il significato cromatico con il senso del testo: sono occupato ma scrivo un sottotitolo che invita il possibile interlocutore a contattarmi, a “disturbarmi” (per citare un messaggio standard generato dalla chat e associato ad una condizione di “rosso”). Questi sottotitoli costituiscono, a mio modo di vedere, un pre-liminare alla comunicazione di forte impatto e densità. Qui racconto – in pochissime parole, meno di una frase – cosa sto facendo, cosa farò, cosa sto leggendo, cosa ho visto al cine ieri sera, dove andrò domattina, il libro che ho comprato, lo stato di salute, l’umore, una massima, un motto, una citazione, un incipit e così via…La forma della domanda, dell’enigma, poi, saranno ancora un esplicito richiamo d’interlocuzione, una richiesta d’attenzione.

Tutti i segnalatori di presenza sono un’implicita richiesta di attenzione e attenzioni. La presenza diventa comunicazione senza contenuto, ecco direi così: io comunico che ci sono, “mi” comunico nel semplice esserci e questo puro “esserci” finisce per imporsi come dato prevalente, preponderante, cannibale, rispetto allo stesso contenuto esprimibile a partire da quella presenza.

“Lo schermo ci inchioda alla nostra situazione di immobilizzati, ci costringe a pensare che per fruire della vita bisogna fermarsi. In un mondo che mitizza il movimento e l’ubiquità, questo è un paradosso formidabile. Passiamo sempre più tempo fissi (immobili, o in movimento, ma sempre con gli occhi fissi sullo schermo) per potere avere diritto di accesso a più luoghi”
(op. cit. p.22)

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